Bo!

Sono stata a Bologna.
"Capirai che notiziona", starete dicendo voi. "E' un mese che vai avanti con questa storia!"
Embè? Questo è indice di quanto io poco viaggi e, soprattutto, di quanto più dovrei farlo. E voi non siete affatto carini a farmelo notare.

Ma ora vi prego di darmi retta, perché la cosa potrebbe farsi interessante.
Sono stata a Bologna.
Non ero mai stata a Bologna.
In realtà ho frequentato poco l'Emilia tutta.
Però ho una lunga tradizione di vacanze romagnole. A tal proposito vi potrei raccontare di quella volta che mi persi tra i mille ombrelloni tutti uguali di Rivazzurra, oppure del mio amore incondizionato per i passatelli, o ancora di quando, a sedici anni, venni avvicinata dall'aiuto bagnino che, trattenendo il fiato per rendere più scolpiti addominali e pettorali, mi chiese:
"Che leggi di bello? Un romanzo d'amore?"
"No, Apologia della Storia di Bloch"
"Ah"

Ma, ne converrete con me, se vi parlassi di tutto questo uscirei fuori tema e anche fuori strada.

Oggi voglio parlarvi del mio fine settimana a Bologna.
Ma non del fatto che a Bologna ci siano i portici, le librerie e le botteghe. Perché tutta questa roba ce l'abbiamo anche a Torino.
E neanche dello spettacolo teatrale di mia cugina. La quale è stata bravissima, mi ha reso molto orgogliosa, e ha confermato la mia certezza che nel sangue della nostra famiglia scorra talento puro, anzi purissimo, ad ettolitri.
E neppure del locale/bettola/antrodell'inferno in cui sono stata trascinata la prima sera. Luogo ameno grazie al quale ho capito che Stefano Benni sarà pure uno scrittore eccezionale ma, a vivere in una città con certi luoghi e certi personaggi, non serve mica tanta fantasia per inventarsi racconti assurdi e surreali.

Io oggi voglio parlarvi del Mambo.
No, non il ballo.
Il Mambo, il museo d'arte moderna di Bologna.
Ci sono finita quasi per caso, alla ricerca della collezione di Giorgio Morandi. Il pittore bolognese famoso soprattutto per le nature morte. L'uomo che trascorse gran parte della propria vita a dipingere chiuso nella sua stanzetta, come se tutto il talento racchiuso dentro di sé non avesse quasi bisogno di arricchirsi, confrontarsi e nutrirsi del mondo esterno. L'uomo mite e gentile che visse per rappresentare la luce, e la luce soltanto.

Prima di perdermi tra le numerose opere di Morandi sono però passata in mezzo alla collezione permanente del museo. E lì mi sono innamorata. Sono stata stregata. Mi sono commossa. Ed esaltata.

Tutto.
Mi è piaciuto tutto.
Ma, più di ogni altra cosa, mi ha rapita: "Sono stata io. Diario 1900 - 1999".
Un'opera di Daniela Comani.

Un'enorme tela dove sono descritti 366 momenti dello scorso secolo. Uno per ogni giorno dell'anno.
Un anno virtuale. Una lunga sequenza di eventi raccontata in prima persona, come se l'artista fosse stata testimone diretta di cento anni di storia. Vittima o carnefice. Spettatrice o protagonista. Individuo.
Cronaca. Politica. Arte. Spettacolo.
Daniela Comani scrive tutto. E legge tutto. Perché quest'opera, oltre ad essere guardata, può anche essere ascoltata. Attraverso la voce della stessa autrice che legge in ordine i 366 giorni.

L'arte contemporanea che diventa letteratura. Un racconto. Una vita.
Storia, arte, romanzo, emozione: tutto assieme.

Ne sono rimasta così colpita da decidere di portare avanti un progetto simile anche su questo blog.
Da domani comincerò il mio diario. Racconterò anch'io la mia storia. Quella del mio mondo e del mio tempo. 365 piccoli post. 365 momenti che potranno andare, in rigoroso disordine cronologico, dal 9 gennaio 1977 al 17 aprile 2014.

"Perché?", vi starete chiedendo.
Non saprei darvi una risposta. Forse solo perché ne sento il bisogno. Istintivo. Irrazionale. Genuino.

Non temete, miei più abitudinari lettori, questo progetto non interferirà con l'andamento del blog come lo avete conosciuto finora, ma lo accompagnerà e, spero, arricchirà.

Per oggi vi ho detto tutto.
Ci ritroviamo domani.

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